Le parole in Archeologia

"Non voglio parlare di archeologia. Voglio far parlare l'archeologia" [Alessandro D’Amore]

Il tempio tetrastilo è morto: le scelte linguistiche nella comunicazione culturale

6 commenti

Il punto fondamentale è questo: se vogliamo usare strumenti nuovi, dobbiamo utilizzare un linguaggio nuovo.

Non possiamo scrivere un post per il blog del nostro museo con lo stesso stile e lo stesso vocabolario con cui Giuseppe Fiorelli teneva il suo diario dei lavori durante le escavazioni di Pompei nell’800. È assolutamente necessaria una diversificazione dei registri.

I professionisti del settore museale non devono smettere di utilizzare termini specialistici né devono limitarsi ad un lessico di 100 parole, ma devono esercitarsi a trovare il giusto registro per il relativo strumento. Quindi l’inevitabile accorgimento necessario è sempre lo stesso: ricordarsi a chi stiamo scrivendo, chi leggerà questo nostro scritto.

Se ci rivolgiamo a dei professionisti, possiamo fare sfoggio del nostro miglior compendio specialistico. Ma, se non sappiamo precisamente chi potrebbe leggere il nostro scritto, dobbiamo dare a tutti – indipendentemente dal grado di istruzione – la possibilità e gli strumenti per capire ciò che scriviamo. Non è dietro ai tecnicismi che si sviluppa la mission di un museo.

La riflessione può essere ampliata ulteriormente e non limitarla alla sola comunicazione online, perché anche nella comunicazione offline (pannellistica, brochure, flyer, didascalie che accompagnano le vetrine) dovrebbe vigere la stessa regola. Per esempio, cosa impedisce in un museo di sostituire un cartellino con la didascalia “frammento policromo di fregio del tempio tetrastilo A – fase II” con un più semplice “frammento decorativo colorato del tempio del 250 a.C.”?

photo credit: Stéfan via photopin cc

photo credit: Stéfan via photopin cc

Questo caso – assolutamente vero – evidenzia, in tutta la sua drammaticità, il pericolo dell’autoreferenzialità.
Quando scriviamo qualcosa da pubblicare online o da esporre in pubblico, non scriviamo mai per noi o per i nostri colleghi. Questo è un punto fermo dal quale non discostarsi mai.

Per scrivere belle storie bisogna utilizzare le parole giuste. Spesso queste parole non sono roboanti o altisonanti, ma sono semplici e d’uso comune.
Spiegare fenomeni complessi con parole quotidiane, che possono capire tutti, che rendono la complessità del mondo e degli eventi semplice, è il vero segreto dei grandi divulgatori.

Se i musei vogliono continuare a tenere fede alla definizione ufficiale del 2001 dell’International Council of Museums (“Museum is a non-profit making, […] which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits for purpose of study”), per comunicare efficacemente con i propri pubblici devono adeguarsi agli strumenti comunicativi del tempo presente e utilizzare un vocabolario vicino alle persone.

Dopo queste brevi riflessioni metodologiche, passiamo in rassegna dei semplici accorgimenti che possono aiutare nella scrittura:

– utilizzare la forma attiva;

– evitare parole complesse o tecnicismi, meglio un vocabolario di uso comune;

– se esiste una parola per spiegare un concetto, è consigliato utilizzarla;

– sempre meglio la forma affermativa, evitando in particolar modo la doppia negazione per affermare;

– preferire i verbi ai sostantivi, appesantiscono il testo e lo rendono meno dinamico;

– arrivare al punto, non perdiamo tempo con introduzioni infinite e riduciamo le parole “inutili” (cioè quelle la cui presenza o assenza non
modifica il significato del testo);

– utilizzare la piramide rovesciata, seguendo lo schema: informazione importante, dettagli di supporto, informazioni relative (qui potete
approfondire;

– scrivere, rileggere e (eventualmente) riscrivere;

– leggere i commenti ma non prenderli tutti in considerazione, le critiche possono aiutarci a migliorare, ma non dobbiamo dipendere dal
giudizio altrui;

– leggere molto;

– scrivere moltissimo, l’ispirazione non viene a comando e ridurre il vizio della procrastinazione è una buona norma.

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Estratto curato dall’autore tratto dall’ebook “Comunicare la cultura online: una guida pratica” © #svegliamuseo

6 thoughts on “Il tempio tetrastilo è morto: le scelte linguistiche nella comunicazione culturale

  1. D’accordissimo su tutto lo scritto, trovo particolarmente interessante il concetto di piramide rovesciata: non è che non si può essere informativi o non si possano usare termini tecnici, ma si deve giocare su livelli di approfondimento. Anche nel caso della cultura la fame vien mangiando, e al visitatore per il quale è diventata un’abitutide ‘mangiare’ cultura, che è già passato per i livelli più superficiali ma non per questo meno educativi della divulgazione culturale, magari si potrà anche citare il termine tetrastilo, dicendo che deriva dal greco, spiegando le due parole di cui è composto, di modo che, semmai quel visitatore lo troverà ancora, non avrà difficoltà a capirlo e anzi dirà all’amico che ha accanto ‘ah sì, lo sai che viene dal greco?’

    • Ciao Domenica,
      devo dire che hai colto perfettamente il mio ragionamento e il senso che volevo dare alle mie parole.
      Sì, la piramide rovesciata è davvero molto interessante. Studiare, analizzare e rielaborare i differenti livelli di approfondimento penso che sia il passo ulteriore (e necessario) che la comunicazione culturale in genere debba fare nel più breve tempo possibile.
      [Alessandro]

  2. Pingback: C’è l’archeologo che – Riflessioni a margine dell’incontro degli #archeoblogger | Professione Archeologo

  3. Io, totalmente fuori contesto (gita con amici) ho insegnato ad un bambino delle elementari cosa significava “kyma lesbio trilobato” (si lo so, sono un po’ fissata) e incredibilmente lo hanno imparato anche dei visitatori sconosciuti che si erano messi ad ascoltarmi. Conto alla prossima visita di insegnargli anche che vuol dire “tetrastilo” 🙂 I termini tecnici vanno insegnati, non nascosti, anche con il pubblico non specialista, credo. E si: il bambino se ne ricorda ancora a distanza di mesi: testato 😀

    • Certo che vanno insegnati!
      E anche utilizzati, ma non in modo esclusivo (come accade in molti casi).
      Grazie per la testimonianza, se qualcuno ne fosse ancora poco convinto…beh, ora non può più esserlo 😉

      [Alessandro]

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